
La lunga attesa al tavolo - qui siamo lontani anni-luce dal concetto di fast-food - è valsa definitivamente la pena. Non solo il piatto è stato preparato al momento, ma la gentilissima proprietaria nonché chef Jane Kagira, persona affabile e squisita, ha espressamente cucinato proprio per me la versione del matumbo con trippa bovina anzichè quella più popolare che prevede l'uso di trippa di capra. Il tutto mi è stato servito con "ugali" (la tradizionale polenta di mais bianca non salata) ed accompagnato da "kachumbari" (un trito di pomodori, cipolle, cilantro e spezie) e dalla "tsavoh", una deliziosa e piccantissima salsa fatta in casa (e premiata dal quotidiano locale, il Seattle Times), che deve il proprio nome al parco nazionale che è una delle principali attrazioni turistiche del Kenya. Per un'esperienza più autentica, come contorno ho anche assaggiato il "sukuma" (un misto di spinaci e un tipo di cavolo nero nordamericano chiamato collard greens) che ho sempre visto accompagnare il matumbo.


Il matumbo, cotto alla perfezione, era delizioso. Si tratta in pratica di una trippa al pomodoro con pochissimi altri ingredienti e l'abbinamento con la salsa piccante, le verdure e la polenta lo ha reso un piatto unico, mai assaggiato prima. Data la preparazione "espressa" la consistenza del piatto era brodosa e magari avrebbe potuto beneficiare di un sugo fatto ritirare un po' di più sui fornelli, ma ciò non ha tolto nulla al gusto complessivo di questa specialità africana di trippa. Ritornarci sarà d'obbligo.

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